Store di ordinaria Forlì-a. Il Pronto Soccorso.

Sono le 15 del pomeriggio di ieri.
E' da quasi 24 ore che convivo con un costante male al fianco destro, il cui fulcro è una zona mezza spanna sotto la scapola destra. Un male che conosco bene da qualche anno: sono i calcoli renali.

Oramai sono un veterano di questo problema. La prima volta che ebbi le coliche acute, entrai al triage di Forlì e mi buttai per terra mezzo svenuto. In capo a non più di 30 minuti, avevo una flebo in vena e la mia mente vagava tra verdi colline e quinte misure.
Fortunatamente non ho mai più avuto le coliche in forma così acuta, ma spiacevolmente esse si ripresentano ad intervalli più o meno regolari, in forma più o meno sopportabile o più o meno continuativa. In questo caso, un male che di per sè non è da contorcersi se dura venti minuti, dopo ventiquattro ore continuative sfibra anche un metro e novanta per cento chili.

A scanso di equivoci, visto che oltretutto l'intensità sembra aumentare lentamente ma inesorabilmente, me ne vado al Pronto Soccorso, venendo accettato al triage alle 15.57.
La ragazza, cortese ma poco empatica, mi misura la pressione (130/70), l'ossigenazione, la temperatura (ho 37) e mi fa fare pipì in uno sterilissimo bicchiere di carta, dal quale poi preleva alcune gocce per metterle su un misterioso stick (tipo cartina di tornasole, penso io).
Io ovviamente lamento dolore al fianco, spiego che è un mese che ho disturbi vari e che questo probabilmente è lo sconquasso finale. Lei fa sì sì con la testa, e mi assegna il codice bianco. Per chi è a digiuno di codici ospedalieri, è il più basso livello di priorità. Non mi aspettavo certamente un codice di colore diverso, dal momento che sono in piedi, sono lucido, parlo e me ne sto ben tranquillo. Ho male, ma non vado in giro a sbandierarlo ai quattro venti, anche perchè siamo al Pronto Soccorso, un posto dove tutti hanno un qualche male. E non è un concorso a chi ne ha di più.

Sono le 16.20, il telefono è al 40% di carica. Chiamo casa e avverto che "forse" potrei tardare per cena. Mi aspetto un'attesa di non meno di 3-4 ore. Sono disposto, voglio dire, a farmi scavalcare dalle urgenze, e conto di essere a casa per le 20, 20.30.
Inizio a guardarmi attorno. Un signore lamenta dolori al costato a causa di (? non ho sentito). C'è un ragazzo imperturbabile, seduto sulla panchina alla mia sinistra, e sento che si lamenta a mezza voce che è lì dalle 12. 4 ore di attesa. Pffft, bazzecole. Entra un giovane rumeno dalla parte del triage sbagliata (quella delle ambulanze) ed inizia a sbraitare che ha "clavicola rota" e che sono "dui ggioni che sono messo così" e che "voi mi vete gissato e io sono qui". Lo fanno accomodare a poca distanza da me, lui continua a sbraitare ad alta voce e una dell'ambulanza che passava da lì lo aggiusta a male parole. Questo prende, abbaia qualcosa, e se ne va, con una colonna sonora di "maleducato!" da parte di tutta l'astanteria.

Inizio a giocare col cellulare, tenendo staccata l'antenna. Tanto lì dentro non prende. Il male continua ad esserci, ma sfango un'oretta su Logo Quiz. Intanto è entrato un ragazzo con un dito schiacciato, una signora con una scheggia in un pollice, e una bella ragazza spagnola con un piede gonfio a causa di un cassetto che si è sfilato e le ha quasi ghigliottinato le dita del piede. Un paio di genitori con bambini che hanno questo o quel male.
Mi faccio un caffé, nemmeno so se mi faccia bene o no. Ma di fatto, qui non posso fare altro. E mi viene anche l'abbiocco.

Non so in che modo, ma sono le 18. Sono qui da due ore, e mi sembra un'eternità. Conosco i problemi e le sintomatologie di chiunque. Potrei farlo io il triage: il ragazzo del dito schiacciato è impallidito e si agita sulla sedia, il dito è gonfio, io gli farei un antidolorifico e poi subito lastre per verificare che non ci sia niente di rotto. La spagnola (Maria) ha un alluce viola, ma almeno il gonfiore ora è circoscritto. E quella ragazza la dietro, appena arrivata, ha male all'addome e sta piangendo, cosa vogliamo fare, aspettare che vada in peritonite?
Mi sale il nervoso, ma mi calmo, perchè poi sale anche il dolore, e io ho trovato una posizione alla Piero Angela seduto sul cubo che mi permette per lo meno di respirare.

Alle 18.30 la fila di urgenze che arriva dalla parte dell'autosoccorso pare rallentare. E in effetti, vengono chiamate 5 persone che erano prima di me in letteralmente 5 minuti, una ad ambulatorio. Dai, penso, ci siamo quasi.
Alle 18.45 si palesano i miei. Almeno, passo un po' di tempo facendo conversazione. Nel frattempo, cambia il turno al triage. Va via la moretta che mi aveva accolto, arriva un bel ragazzo moro, alto, con pizzetto e tatuaggi. E noto subito una cosa. Questo, voglia di lavorare, ne ha da buttare. Il suo passo è quello di un marciatore, sempre sul punto di correre. Sposta i malati, accoglie quelli nuovi, si prende cura di quelli che arrivano in ambulanza. Non cala la tensione di una virgola, ha una parola di conforto per tutti quelli che gli si presentano davanti. Delizioso. Ma è clamorosamente da SOLO per tutto il tempo.

Ricomincia l'ondata delle urgenze. Non chiamano più. Alle 20 vado dal ragazzo a chiedere quanto c'è da attendere ancora, secondo lui. Anche perchè nel frattempo, complici 4 ore seduto su una sedia di legno senza neanche un filo di imbottitura, il male è aumentato. Lui si dichiara costernato, che ci sono dei problemi e delle urgenze, e che ho una persona davanti a me poi dovrei esserci io.

Lamentandomi tra me e me passa un'altra ora. Vedo gente andare, gente venire, ma l'unica cosa che lì dentro non cambia sono i distributori di cibo e bevande, e la mia faccia. Alle 21 vado dal ragazzo e gli dico: "capisco le urgenze, capisco tutto quanto, ma io ho male. Credo che dopo 5 ore che sono qui, potrei anche avere un pelo di considerazione". Lui guarda la mia scheda e mi dice: "vado a sentire da un dottore se puoi fare un po' di Voltaren così almeno ti passa la colica". Gli chiedo come fa a dire che è una colica se un dottore non mi ha visitato, ben sapendo che lo è, ma voglio capire come funziona il sistema. Mi dice che l'urostick (quel tornasole che mi han fatto alle 16) è positivo per leucociti, nitriti e sangue. Penso tra me e me: allora cazzo lo sapete, che non son qui a prendervi per il culo. Gli dico anche che il male aumenta, e mi chiede quanto da una scala da 1 a 10. Sto su un 6, in alcuni momenti il male mi molla, ma in altri è un 7, 8. Faccio la media. E penso fra me e me: come si può fare a quantificare il male con una scala oggettiva? Per un bambino che si sbuccia il ginocchio la prima volta, il male è 11. Io che avuto le coliche renali acute, cosa posso dire di qualunque altra cosa dopo quelle? 5? 6? 8? Tipo parto? Cosa ne so?

Sarà la stanchezza, il male, un'insieme di cose, ma alle 21.30 ho una piccola crisi. Mi viene da alzarmi e spaccare tutto il triage, ma così, solo per sfogare la frustrazione. Mi metto giù, chiudo gli occhi per 3 minuti. Ma possibile che dalle 16 il mio diritto al benessere sia stato sospeso nel momento in cui entro nel luogo che dovrebbe restituirmelo? Quale altro paradosso è più frustrante di quello che ti vede nel posto che ti fa star meglio, e non ti fanno niente? (Forse uno c'è: prepararsi ad una notte di sesso con Jessica Alba, ma aspettare 8 ore che esca dal cesso. O ti sei addormentato, o ti sei arrangiato. Poco da dire).

Mi chiama il ragazzo alle 21.45. Mosso a compassione, mi pianta senza tanti fronzoli un ago in una chiappa e dopo venti minuti sento che potrei correre la Tre Valli Varesine. Devo comunque parlare col medico, sarebbe bene. Quindi attendo. I miei vanno via alle 22, i poveracci, almeno che loro cenino. Dopotutto, io non ho più male.

Non sto a descrivere ulteriormente la fauna umana del Pronto Soccorso di Forlì a mezzanotte. Zingari che vengono lì a dormire. Bambini piccoli che piangono, porelli. Rumeni che si lamentano del fatto che loro sono discriminati. Fatto sta che nell'unico momento in cui sono fuori dall'astanteria per ricordarmi che odore ha l'aria pulita, mi chiamano. Vado, tempo 15 minuti son fuori con diagnosi e terapia in mano.
Sono le 00.26.

Nel dubbio, sottolineati in rosso, ora di accettazione e di dimissione. 8 ore e 29 minuti.


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