Canzoni storiche, storie di canzoni.

E' l'Aprile del 1991.

Anthony Kiedis, cantante dei Red Hot Chili Peppers, sta guidando la sua auto lungo le strade di Los Angeles dopo le prove e sta riflettendo sugli ultimi anni della sua vita.
Pensa che è passato poco più di un decennio da quando ha conosciuto Flea, bassista, e Hillel Slovak, chitarrista, ma sembra effettivamente passata un'eternità. Era la fine degli anni settanta, il periodo della high school, ed erano tutti ancora minorenni.
Anthony si ricorda di tutto. Si ricorda bene che con Flea e Hillel avevano iniziato a farsi di cocaina, eroina, LSD, speedball ancora quando i Red Hot Chili Peppers si chiamavano Tony Flow and the Miraculously Majestic Masters of Mayhem, un nome che era tutto un programma. E mentre i tre suonavano in tutti i club underground di Los Angeles, si erano spostati in un malfamato sobborgo di Hollywood, dove vivendo assieme avevano portato avanti la loro dipendenza da musica e droghe. A loro nel frattempo si era aggiunto Jack Irons, batterista.

Anthony si ferma al semaforo e continua a pensare al passato.
Tre album più tardi (nella fattispecie Red Hot Chili Peppers, 1984, Freaky Styley, 1985 e The Uplift Mofo Party Plan, 1987) il successo era oramai arrivato. La band era diventata un quartetto di fratelli tossici e dannatamente convinti di essere immortali, che stava musicalmente mettendo a ferro e fuoco gli Stati Uniti. Ma la realtà era che si stavano devastando fisicamente e mentalmente, così a gennaio del 1988 avevano deciso di smetterla con i buchi. Di aiutarsi a vicenda, di cercare di farcela da soli. Sfortunatamente Hillel era già passato oltre quella sottile linea del non ritorno, le crisi di astinenza gli impedivano persino di finire i concerti. Non voleva ammetterlo nemmeno con Anthony, che era alla frutta. Lui aveva cercato di convincerlo a curarsi, ma niente. E poi Hillel un giorno era sparito. Semplicemente, si era dato alla macchia, irraggiungibile.

Il suo cadavere fu trovato il 27 di giugno, con ancora l'ago nella vena.

Il semaforo è verde, e Anthony distrattamente pigia il pedale del gas, e continua a riflettere. E ripensa che non era nemmeno andato al funerale, tanto era forte il dolore. E che aveva continuato a drogarsi, finché qualche amico di quelli veri lo aveva convinto a disintossicarsi del tutto. E a far visita alla tomba. Jack no, Jack aveva abbandonato il gruppo che a suo dire aveva portato Slovak all'autodistruzione. Così in formazione erano entrati Chad Smith alla batteria, e John Frusciante alla chitarra. E con loro, con molte difficoltà per via della disintossicazione, Anthony e Flea avevano inciso nel 1989 Mother's Milk, il quarto album.

Concerto, tour, video, singolo, concerto, tour... eccetera. Solita vita. Anthony riflette e guida, guida e riflette. Sente che in passato ha conosciuto la disperazione, il dolore. Ma questa sera pensa ai ragazzi con cui ha provato fino a poco prima, che ridono in disparte fumando uno spinello e trascurandolo. Pensa alla scelta di Rick, il produttore, di registrare il nuovo album nella ex villa di Houdini. Pensa a Chad, convinto che la villa sia infestata dagli spiriti. Ad Anthony qui scappa un risolino, ma si spegne subito, rimuginando sul fatto che ognuno ha a disposizione una stanza alle estremità della villa, e che lui nella sua stanza ci si è chiuso per trenta fottuti giorni a registrare le parti vocali da solo. Per stare solo, per sentirsi solo, con la solitudine come causa e come conseguenza.
Anthony pensa che i rapporti con tutte le persone - incluso Flea - che frequentava ai tempi delle droghe sono sfilacciati, persi. Tempi in cui c'era anche lei, ovviamente: Ione Skye, la sua ex. Lei, che per lui avrebbe dato tutto, ma tutto quello che lui cercava era solo un altro buco.

Pensa che in realtà, forse non gli è rimasto proprio nessuno veramente vicino.

Arriva a casa in preda a quelli che sono i sintomi di una forte depressione. Alienazione, distacco, senso di vuoto. E' in pieno stress emotivo. Non si fa un goccetto, non si fa in vena, no. Prende una penna, e su un taccuino scrive quello che sente, come lo sente, come gli viene. Una poesia, pura poesia. Che comincia così.

A volte mi sento
Come se non avessi un compagno
A volte mi sento
Come se la mia unica amica
Fosse la città in cui vivo
La città degli angeli
Sola come sono solo io
Stasera piangiamo insieme...

Kiedis ci mette dentro tutto. Ci mette tutto sé stesso, e pensa che davvero tra lui e Los Angeles ci sia una strana connessione, malinconica ma positiva ("non voglio più sentirmi / come mi sentivo un tempo"), positiva ma estremamente autocritica e disperata ("sotto a quel ponte / dove non ne avevo mai abbastanza / sotto a quel ponte / dove ho dimenticato l'amore"). Sembra quasi che la città gli sia testimone, stia dalla sua parte e lo spalleggi nelle avversità, come un vero amico farebbe.
Anthony chiude la poesia in un cassetto, e la lascia lì. E' per lui, scritta da lui, e per lui rimarrà.

***

Rick Rubin sta razzolando tra le scartoffie assieme ad Anthony, non trovano dei documenti importanti. Rick apre il cassetto, quel cassetto, e la vede. Una rapida occhiata.
"Anthony, e questa?"
"E' una... cosa che ho scritto qualche tempo fa, Rick".
"Dovresti farla leggere ai ragazzi!"
"Non se ne parla. Non è una canzone da Chili Peppers. E' una lagna insopportabile".
Un po' di tira e molla. Per fortuna Rubin insiste, per fortuna Anthony accetta.

Mezz'ora dopo sono nello studio. Flea, John e Chad leggono la poesia.
Letteralmente appena finita la lettura Flea e John sono già scattati in piedi a prendere gli strumenti. E John Frusciante attacca un arpeggio in Re maggiore, un arpeggio che resisterà alla prova dei secoli, perché certe canzoni non possono essere dimenticate, e neanche quello che raccontano.

Red Hot Chili Peppers. Under the bridge.


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