Una Miller con uno sconosciuto


Ieri sera, tornando verso casa dopo una cena con un caro amico, visto che non era poi tanto tardi, mi sono diretto verso il mio solito posto in collina, con l'intento di ascoltare un po' di musica, pensare e guardare il panorama.
Parcheggio l'auto sulla solita piazzola, spengo le luci e attendo qualche minuto che i miei occhi si adattino all'oscurità.
Il cielo è coperto di nubi, e uno scirocco malandrino mi alza il bavero della giacca e preannuncia tempesta.
Così scendo dall'auto, prendo le sigarette e mi allontano di qualche passo, quando noto poco più in là, seduto sul ciglio della strada, coi piedi penzolanti sul campo sottostante, più basso del ciglio stradale di un metro, una figura umana.
Mi guarda, lo guardo. Alza una mano in segno di saluto, io lo stesso. Tra me e me penso che allora non sono l'unico scemo che passa le notti così.
Mi avvicino, lui continua a guardarmi. "Ciao" mi fa. "Salve", rispondo io mentre accorcio la distanza.
Noto che è un signore anziano, coi capelli canuti, e un filo di barba dello stesso colore. Due occhi neri molto profondi fanno capolino da un viso solcato da rughe. Eppure ha uno sguardo giovane, ardente, fiero.
Mi siedo accanto a lui, apro il pacchetto e gli offro una sigaretta. Lui la guarda, guarda me, e sorride, accettandola. Glie la accendo, e faccio così con la mia.
"Che tempaccio, eh?" azzardo io per rompere il ghiaccio.
"Non abbastanza per non venire qui a pensare" fa lui. Come non essere d'accordo? Poi continua: "io di solito vengo qui a pensare, a cercare un po' di… pace, credo. Tranquillità. Guardare il cielo." Poi dà un tiro alla Pall Mall e soffia al vento. Tossisce. Si vede che è un po' che non fuma.
Gli dico: "di solito anche io vengo qui, per gli stessi motivi. Ma stasera c'è ben poco da guardare il cielo, con tutte queste nuvole. Ci sarebbe anche una bella luna bassa, laggiù… ma si vede solo un po' di chiarore".
Lui mi guarda e sorride. "Un altro pensatore folle che se ne va in collina eh?". Poi allunga la mano alla sua destra, e da una cesta che aveva lì, e non avevo notato, tira fuori due Miller e un apribottiglie. Nel silenzio in cui solo il soffio del vento e il frinire dei grilli si fanno sentire, le bottiglie sibilano un attimo sotto le sue mani. Me ne porge una. "Spero che ti piaccia la birra. A me sì."
La prendo, lo ringrazio, e iniziamo a sorseggiarla. E' fresca al punto giusto. "Anche a me piace la birra, grazie" gli dico. "Ed è anche la prima volta che non mi scoccia che ci sia qualcuno qui mentre io tento di farmi i cazzi miei".
Ride di gusto, e annuisce. Mi dice: "ma tu trovi pace qui?"
Gli rispondo "beh, pace. Trovo quello che mi serve trovare, di solito. Se devo piangere trovo le lacrime, se devo cantare posso urlare senza rompere l'anima a nessuno. O semplicemente, se sento di doverl venire qui… lo faccio".
Ancora una volta annuisce. "Io alle volte prego. Ringrazio. O maledico, e impreco. L'ho fatto per una vita. Sempre qui, in questo punto. Ho visto accendersi le luci una dopo l'altra, trasformando questo panorama in un perenne presepe. Ho visto l'alba, il tramonto, da solo e in compagnia. Col mio cane, con un libro."
"Io una volta mi son portato la chitarra" aggiungo io.
"Lo so, spesso l'ho fatto anche io. Ma dopo una vita ti dico che alla fine, la pace, non la trovi mai. Se per pace intendi la serenità, la felicità, la pienezza di te stesso. La verità è che forse, se avessimo tutto questo, e smettessimo di cercarlo, non saremmo contenti lo stesso."
Stacco la bocca dalla bottiglia, e intervengo: "è un po' il discorso del 'tanto poi mi annoio' dico bene?"
"Un po' sì e un po' no. Basta guardare chi nella vita ha tutto. Soldi, onori, gloria. Sono scontenti, altrimenti non andrebbero a cercare… come dite voi giovani… ah sì, sballi. Non è noia, in realtà è insoddisfazione perenne. Però secondo me il motore pulsante della nostra esistenza è la ricerca. Siamo in perenne ricerca di tutto quello che desideriamo e questo movimento, questo 'andare verso qualcosa' ci spinge a migliorare la nostra condizione."
Quanto è vero quello che dice. Stavolta sono io che annuisco. "Anche io prego quando vengo qui. Delle volte mi sento proprio una merda perché non rifletto su quello che ho ma mi lamento di quello che non ho."
Mi scruta. "Tu cos'è che non hai?"
La domanda a bruciapelo, secca, mi fa rispondere in maniera altrettanto stringata: "una donna".
Quasi rovescia la birra, nella risata che fa. "Scusami, ma è la cosa più inutile per te in questo momento, quindi non riesco a non ridere".
"Inutile?" Faccio io, colpito.
"Se non sei in pace con te stesso, come diavolo credi di poter star bene con qualcun altro?"
"Forse perché in pace con me stesso non lo sarò mai. Forse perché Dio mi ha dato tanto, ma mi sento sempre in colpa nei suoi confronti perché di questo 'tanto' riesco a cavarci fuori poco. Un po' come Cyrano."
Stavolta l'ho colpito io: "…de Bergerac? Non credevo che un giovane potesse interessarsi a queste cose!".
"Beh Rostand ha praticamente parlato di me, se escludiamo il naso. Alla fine fa dire a Cyrano queste parole: 'Ecco, già mi vedo l'epigrafe tombale. Qui giace un astronomo, poeta niente male, filosofo, musicista, cavaliere ardente che insomma fu un po’ tutto e non fu niente'. Non male eh?"
"Davvero niente male, lo ammetto. E tu ti senti così?"
"Mi sento precisamente così" ammetto, "e ti dirò di più. Un'amica una volta mi ha detto che sono una persona stimolante. Ma esserlo per qualcuno che può essere stimolato tutti i giorni da te, è fantastico. Al contrario, quello che faccio, per me rappresenta uno sfogo, non uno stimolo. Ecco perché dico che mi manca qualcuno a cui dare, e da cui ricevere."
"Hai gli amici. Loro non sono abbastanza?"
"No, per quanto buoni e meravigliosi, e ne ho tanti così… e qualcuno anche meglio. Loro mi danno soddisfazione… ma è gioia effimera. Non possono nutrirsi di me - e io di loro - perché hanno già le loro fonti di pace, amore, felicità. L'ammirazione non è amore. L'amicizia non è amore. Non sto dicendo che siano meglio o peggio, sono cose complementari. Nella vita c'è spazio per tutto."
L'anziano signore mi scruta e a quel punto mi fa una domanda: "senti, ma tu ci credi o no nell'amore?"
Non so che rispondergli. Azzardo un "non tanto, ora. Per ora sono più le delusioni e il senso di privazione, tanto che mi fanno dire che non esiste… forse perché non mi causi ancora dolore e privazione."
E lui mi fa, lapidario: "solo perché la luna è nascosta dalle nubi, non vuole dire che non esista. Non sei un bambino, che se ti nascondi dietro le mani e gli fai cucù, lui non sa dove tu sia andato perché non ha il concetto di spazialità. Tu sai che è un sentimento come un altro nell'animo umano. Controverso, doloroso. Ma c'è. E più una persona ha cuore, più ama… e più soffre."
Ha ragione. Questo anziano, sul ciglio della strada, che beve birra e condivide i suoi pensieri con me, ha ragione. E nemmeno so chi è.
"Ricordatelo sempre, Gabriele. C'è qualcuno per te, al di là delle nubi. E tu devi essere pronto per quando le nubi andranno via. Ora vado, si è fatto tardi." E, detto questo, raccoglie la cesta e si incammina verso la strada buia, senza nemmeno darmi il tempo di una replica.
Poi realizzo.
Come fa a sapere come mi chiamo?
Salgo in macchina, la accendo, e i fari illuminano la strada, nella direzione in cui il vecchio se n'è andato. Niente.
Non c'è nessuno sulla strada.
Pieno di interrogativi ingrano la prima, mentre la luna fa capolino, beffarda, squarciando per un attimo le nuvole.

Commenti

Anonimo ha detto…
Buona, la Miller.
Io sono qua con una birra del discount, da me chiamata affettuosamente "la birra del muratore polacco", con tutto il rispetto per i muratori e per i polacchi, ovvio.
A volte nella vita è necessario perdere tutto per capire che cosa o chi manca.
Dopo mesi di sacrifici, di notti a dormire dove capita, di bevute e chilometri e chilometri e bevute, sono arrivata alla conclusione che non è un uomo, quello che mi manca. Di sicuro non nell'accezione che hai usato tu.
Il giro che fa l'amore è un po' diverso, da come lo hai presentato, credo. L'amore è privativo, nel senso che si deve essere pronti a rinunciare e, rinunciando, dare felicità a chi si vuole accanto, e, se tutto funziona, così si dovrebbe essere felici, dicono.
Non si tratta di essere pronti o meno ad amare. E' come quando tutte le cose accadono, belle o brutte che siano; succedono e basta...avere le palle di rinunciare per uno sconosciuto, invece, è altra storia.
Essere di stimolo è riduttivo; di stimolo è un quadro, la moka del caffè la mattina o una sana scopata (che poi, fino ad un certo punto, perchè di uomini che mi hanno scopata bene, ne ho incontrati ben pochi), di certo non l'uomo della mia vita. Lui no, non deve essere necessariamente dolce-carino-sensibile-perfetto-disponibile-ricco-intelligente; può essere anche un emerito figlio di puttana, a patto che accetti la figlia-di-puttanaggine che è in me e diventi in qualche modo (la famiglia del Mulino Bianco la lascio alle fighe di gomma, prego) il mio mondo.
Ti prego, bevitela per davvero la Miller.

M.L.K.