"Il folle" - racconto breve di NoNsOnOiOcHeScRiVo

Ospito volentieri il racconto di un mio amico che a scrivere è fenomenale, ironico, reale, vero... in una parola sola: bravo!

Ogni tanto la parola folla viene usata erroneamente con il plurale “folle”, che a sua volta invece può essere il singolare di folli. Mi piacciono questi giochi, nascondono una sorta di verità.
Ti puoi ritrovare a camminare per ore fianco gente che urla, che salta, gioisce, protesta, senza un proprio preciso motivo; l’importante è fare numero, massa, caratteristiche adatte sia per indicare cose che persone. Questa è la folla, e il rischio è quello di passare tra migliaia di individui, senza incontrare nemmeno una persona.

Ora la manica sinistra del mio cappotto è macchiata; prima un ragazzo correndo, mi ha rovesciato addosso il suo kebab, e rideva, chiedeva scusa e rideva, avrei voluto dirgli qualcosa ma poi ho rinunciato, era impossibile, continuava a ridere e a cantare, seguendo i cori di quelli più avanti. Così mi sono allontanato guardando quella macchia, con in testa un dubbio;
strofinare o non strofinare? Ricordo che da piccolo appena mi sporcavo incominciavo a sfregare lo sporco il più forte possibile, cercando in questo modo di mandarlo via, peccato che la maggior parte delle volte non succedesse, anzi, spesso la macchia si estendeva insudiciandomi completamente il vestito che solitamente era nuovo o appena lavato. Così decido di non strofinare, lasciando la macchia lì com’è. Esperienza.

Lentamente la folla mi ingloba dentro di se sbattendomi a destra e a sinistra, fino a trovarmi vicino a un gruppo di ragazze che salta, che balla. Una di queste inciampa e prontamente l’afferro prima che caschi per terra. Mi ringrazia e io le sorrido, poi con dispiacere noto che la macchia sulla mia manica si è espansa; probabilmente nel prendere la ragazza ho strisciato il mio cappotto contro il suo, macchiandolo a sua volta. Che cosa romantica, solo noi due sporchi in mezzo alla folla, ma lei non se ne è accorta e di certo non sarò io a dirglielo.
“Anche tu qui per protestare?” Mi domanda lei.
“No.”
“L’avevo intuito, non hai la faccia di uno che protesta.”
“Che faccia ha uno che protesta?” Chiedo stupito.
“Non lo so, non la tua.”
Non so il perché, ma quella risposta inutile mi innervosisce, tuttavia la ragazza se ne accorge subito: “Non prendertela, non siamo fatti tutti allo stesso modo, e poi il mio era un complimento. Dai, unisciti a noi.”
Mi tira per il braccio, cercando di trascinarmi con se a ballare in mezzo alla folla, però non ci riesce e così comincia a danzare, guardandomi e incitandomi a seguirla, ma io non ne ho proprio voglia.
“Dai vieni, cosa fai rifiuti l’invito di una sirena come me?” Mi domanda avvicinandosi, mentre sorride con le amiche. Mi sento deriso, forse è solo paranoia, eppure quel sorriso sulle sue labbra, suscita in me un tremendo odio. Non le rispondo, anzi, mi giro dalla parte opposta, senza ascoltarla e mi allontano. Mi domando: “Ma lo stronzo in questa discussione, ero io o era lei?” Ho paura a dare una risposta, quindi smetto subito di pensarci.

Mi fermo vicino a una colonna del porticato e scrivo: “Ognuno ha la faccia che si merita. Io non ho la faccia di uno che protesta, non ho la faccia di uno cattivo; io ho quella da culo probabilmente, o comunque una copia molto simile. Se solo sapessi dove cambiarla. Quale sarebbe il prezzo?”

Poi riprendo a camminare lungo la strada, seguendo il corteo fino la piazza, ed è qui che nasce la vera follia: gente che si fa portavoce di tutti urla al megafono frasi fatte e citazioni di qualche persona intelligente (dimenticandosi alla fine di essere a loro volta persone e di avere un
pensiero proprio e una propria intelligenza), e la folla applaude pur non sentendo, mentre altre persone si arrampicano su per i pali della luce, altri su per le statue di Dei passati, solo per mettersi in mostra; quanto vorrei che quegli Dei si svegliassero.

Mi sento a disagio, così decido di sedermi ai tavolini esterni del bar della piazza, ordino una tazza di tè caldo al cameriere, e mentre guardo la manica del mio cappotto completamente sporca, un vecchio mi domanda:
“Cos’è uno sciopero?”
“No no, è una macchia. Speriamo vada via.”

By NoNsOnOiOcHeScRiVo

Commenti

tito ha detto…
bellissimo!!!
tito ha detto…
chi è il fenomeno?
vorremmo saperne di più sull'autore
Gabriele ha detto…
il fenomeno è un ragazzo di Forlì, mio concittadino, della veneranda età di... boh? Mi pare sia un '83, forse un '86, chi può dirlo, io per le date sono negato.

Sulla sua identità c'è molto mistero... non so se posso svelarla! Mi dirà lui se si vuole che lo si sappia in giro...
tito ha detto…
in ogni caso bravo!
io ci sto sempre!
l'italia è un paese di scrittori, tutti ci sentiamo scrittori e pensare che siamo il paese con la media più bassa di lettori...
ma per chi cazzo scriviamo allora???